domenica 6 dicembre 2009

venerdì 27 novembre 2009

Crac Donati, verso lo stop alle sanzioni

Un buco di alcuni milioni che rischia di mettere in ginocchio il tessuto produttivo venturinese e dovrà essere ripianato dai contribuenti.
Sono in pieno corso le indagini della guardia di finanza che sta comparando le querele presentate dalle persone danneggiate con gli elementi delle indagini. Indagini che si prospettano lunghe, vista la complessità per ricostruire le denunce dei redditi dei contribuenti, spesso manomesse dal consulente con il meccanismo della compensazione con crediti inesistenti.
Al tavolo con il prefetto, voluto dal sindaco Soffritti, hanno preso parte rappresentanti della guardia di finanza, Agenzia delle entrate, Gerit, Inps e Inail, oltre ai rappresentanti del Comitato Val di Cornia 2009, creato dalle persone raggirate.
Durante l’incontro sono state tracciate le linee di comportamento che i contribuenti dovranno tenere e gli spiragli disponibili nel rispetto dei limiti imposti dalla legge. «Il vertice si è tenuto in un clima di grande collaborazione - spiega il sindaco Rossana Soffritti - seppur non sia possibile individuare un’unica tipologia di azione, gli enti hanno indicato procedure ed elementi che torneranno utili ad ogni contribuente».
Presente all’incontro anche l’assessore Elisa Murzi, per il Comune di Piombino. La voragine finanziaria dello studio Donati non si limita infatti alle aziende venturinesi, ma si estende fino a toccare imprese di Piombino, Suvereto, Donoratico e Livorno. «Non è ancora disponibile un quadro completo delle imprese coinvolte, così come non abbiamo un numero preciso di quelle piombinesi - spiega Murzi - quel che è certo è che tutte le autorità presenti hanno assicurato il massimo impegno per sostenere le imprese in crisi».
La schiera dei contribuenti raggirati potrà fare ben poco sul fronte del debito di imposta. Saranno loro stessi a dover colmare il debito con il fisco. Gli unici margini consistono nelle modalità di pagamento, con l’Agenzia delle entrate e Gerit disponibili a concedere dilazioni e rateizzazioni. I contribuenti, dopo aver sporto denuncia, hanno inoltre la possibilità di chiedere la sospensione delle sanzioni fino a quando il tribunale competente non emetterà una sentenza irrevocabile, pari a circa il 30% della somma non versata.
Autore: Centini Luca
fonte: Il tIRRENO DI MERC. 25.11.09

martedì 6 ottobre 2009

Le richieste di rimborso all'Asiu per la Tia assoggettata ad Iva

PIOMBINO. Cinque milioni di euro. Questo quanto più o meno l’Asiu dovrebbe rimborsare agli utenti se venisse confermata la sentenza della Corte Costituzionale del 24 luglio scorso che non ritiene la Tia assoggettabile all’Iva, considerandola tributo e non tariffa. «Sono già una trentina - spiega il presidente dell’azienda Fulvio Murzi - le richieste di rimborso arrivate dai cittadini».
E a spingerli in questa direzione sono spesso le associazioni dei consumatori. L’Asiu, secondo la Corte, dovrebbe rimborsare ai cittadini l’Iva che hanno pagato insieme ai bollettini dal 2002, data in cui la Tia ha preso il posto della Tarsu, ad oggi.
«Chiaro - taglia corto Murzi - che per noi sarebbe la chiusura». L’Asiu dunque in questo momento non ci pensa neppure a pagare. «Prima di tutto - spiega il presidente - perché la sentenza è in forte contrapposizione con quello che ci chiede l’Agenzia delle Entrate. Manca ancora una precisa normativa, tanto che in Parlamento sono già state presentate numerose interrogazioni. Del resto l’Asiu ha dovuto finora agire come esattore dell’Iva per conto dello Stato senza ricavarne alcun utile, riversando quanto incassato all’erario. E’ dunque l’amministrazione finanziaria che, nel caso, dovrebbe restituirci i soldi da riversare agli utenti».
Ma è davvero utile abolire l’Iva sulla Tia? Secondo i dirigenti dell’Asiu nessun vantaggio ci sarebbe per i cittadini, che risparmierebbero un 10% sulla bolletta ma si troverebbero poi a ripagarlo con un aumento delle tariffe che l’azienda sarebbe costretta a decidere. «L’azienda - spiega infatti il direttore Enrico Barbarese - non potrebbe più scaricare il 20% dell’Iva sugli acquisti e, poiché la legge ci impone una copertura totale del servizio, i costi maggiori finirebbero per ricadere sui cittadini».
E se per la singola famiglia il conto potrebbe al massimo tornare pari - sostengono ancora all’Asiu - per le aziende la situazione potrebbe addirittura peggiorare, visto che attualmente possono scaricare il 10% dell’Iva pagata sull’utile imponibile. Per le imprese, dunque, il costo del servizio potrebbe subire un’impennata del 10%.
Il quadro normativo è tutt’altro che chiaro. La vicenda dell’Iva sulla Tia riguarda del resto almeno 1.200 comuni: un caso che ha risvolti finanzieri dalle dimensioni enormi. Per questo anche Federambiente, alla quale l’Asiu aderisce - ha chiesto al governo e al Parlamento un chiarimento definitivo. «Il caos burocratico-amministrativo - sostiene - rischia di suscitare aspettative tra i cittadini e di creare danni all’operatività delle imprese». Da parte sua l’Asiu conferma che il risparmio per il cittadino sarebbe illusorio e che già la Tarsu era assoggettata ad un’addizionale del 10%.
Fonte: il Tirreno del 6.10.09

sabato 26 settembre 2009

Stop ad autovelox selvaggio

Con la direttiva indirizzata a tutti i prefetti il ministro dell'Interno Maroni disciplina l'uso degli strumenti di misurazione della velocità affidando i controlli esclusivamente alla Polizia. Previste norme per la massima tutela della privacy


Diritto a informazioni chiare per gli automobilisti e pianificazione dei servizi di controllo della velocità. Questi gli obiettivi primari che il ministro dell'Interno ha voluto indicare e regolare con una direttiva che affida ai Prefetti il compito di monitorare il fenomeno dell’eccesso di velocità, causa della maggior parte degli incidenti stradali, e di pianificare le attività di controllo in modo che rappresentino uno strumento reale di prevenzione e non solo uno strumento per fare cassa. Spetta quindi ai Prefetti e agli organi di polizia il compito di disciplinare l'utilizzo degli autovelox.

Per fare questo i Prefetti si avvarranno delle Conferenze Provinciali Permanenti distribuendo i servizi di controllo tra le diverse forze di polizia e le polizie locali, evitando anche la duplicazione dei rilevamenti sul medesimo tratto di strada.
Saranno, quindi, individuati i punti critici per la circolazione in cui maggiore è la sinistrosità in base ai dati del biennio precedente.

In aggiunta alla direttiva è stato sottoscritto dal Capo della Polizia e dal Capo del Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, un protocollo operativo che indicando le disposizioni nel dettaglio, fa chiarezza sulle questioni che, in passato, sono state oggetto di controversia.
Una volta per tutte è chiarito che non è sempre richiesto il fermo del veicolo per contestare la violazione.

Altra novità di rilievo è che la gestione delle apparecchiature è affidata solo dagli operatori di Polizia, viene quindi escluso l’appalto dei servizi di accertamento a società private. Il controllo della velocità costituisce un 'servizio di polizia' che non può essere delegato ad imprese che noleggiano gli apparecchi.
Previsti, inoltre, controlli periodici di funzionalità degli apparecchi e le modalità di segnalazione della presenza delle postazioni di controllo; non saranno più possibili, quindi, appostamenti di pattuglie nascoste.

Per una maggiore tutela della riservatezza, fotografie o riprese video devono essere trattate solo da personale degli organi di polizia incaricati al trattamento e alla gestione evitando accessi non autorizzati ai dati e alle immagini.

sabato 8 agosto 2009

Blackout nel centro storico: i ristoratori chiedono i danni

PIOMBINO. E’ una calda sera d’agosto. I locali di Corso Vittorio Emanuele pullulano di persone. Da piazza Bovio arrivano in sottofondo le note del concerto dei Pooh, mentre sui tavoli dei ristoranti vengono serviti piatti di pesce, pizze, bottiglie di vino fresco. Tutto sembra andare per il meglio, fino a che, alle 22 case e locali (40 in tutto), si trovano improvvisamente al buio. E la serata, in pochi minuti, si trasforma in un flop.
Le cucine si bloccano, i frigoriferi si spengono, addio forno elettrico, boiler, friggitrice e affettatrice. Intanto in sala qualche cliente comincia a innervosirsi, altri se ne vanno ancora prima di cominciare la cena. Qualcuno, con la scusa che il bancomat non funziona, se ne va senza pagare il conto, con la promessa che tornerà a saldare il giorno dopo.
«Una serata lavorativa in fumo - raccontano alla trattoria Le Birbe - Per non parlare dell’imbarazzo di fronte ai clienti. E, visto che anche la lavastoviglie era fuori uso, abbiamo finito la nottata a lavare i piatti a mano».
I danni, secondo i dieci ristoratori che giovedì sono stati vittima del blackout, sarebbero rilevanti. Per questo hanno deciso di chiedere un risarcimento all’Enel, tramite avvocato. «Abbiamo dovuto buttare via pesce, frutti e insalate di mare che, con i frigo spenti e il caldo della cucina, si sono deteriorati - aggiunge la proprietaria del Volturno - Per non parlare dei danni d’immagine».
L’Enel spiega che il black out è stato casusato dallo scatto di un interruttore di bassa tensione alla cabina di via Cairoli, rimasto bloccato dalle 22.01 alle 22.23, quando un addetto è intervenuto per riattivarlo. «A volte capita, senza che ci sia un motivo specifico», dicono. Non c’entra niente dunque il concerto dei Pooh, come hanno pensato in molti.
Tuttavia sui tempi del blocco le versioni non coincidono. Mentre l’Enel assicura che è durato 20 minuti, i ristoratori parlano di un’interruzione di un’ora e mezzo, dalle 22 alle 23.30. Lo conferma anche un residente, Stefano Guarguaglini: «Sono stato io ad avvisare l’Enel alle 22.05 - afferma -. L’operatore mi ha richiamato alle 23.08 per dirmi che era a Piombino, e fino alle 23.30 la corrente non è tornata».
Fonte: il Tirreno del 8.08.09 Autore: Angela Feo

Per approfondimenti sul tema del risarcimento del danno da black-out: http://marcomonticelli.blogspot.com/

lunedì 3 agosto 2009

«Mettere la tuta è lavoro». Al via una vertenza collettiva a livello nazionale

PIOMBINO. Si chiama «Tempo tuta» ed è la vertenza collettiva che Slai Cobas ha appena aperto in Magona. Il sindacato di base punta al riconoscimento - in termini economici oppure di riduzione d’orario - del tempo necessario ad indossare gli indumenti di lavoro a inizio turno e, a fine giornata, a svestirsi. Si tratta di una campagna nazionale che Slai Cobas attiva nelle realtà produttive di grandi dimensioni territoriali. Ma solo dove le condizioni logistiche lo consentono.
Sono tagliate fuori le aziende - come Dalmine e Lucchini - in cui il cartellino si timbra prima di raggiungere gli spogliatoi. Automaticamente, in questi casi, nel monte-ore mensile finiscono anche i periodi impiegati per il cambio degli abiti.
«In Magona, invece, i presupposti ci sono perchè ingresso e uscita si registrano nei pressi delle postazioni di lavoro, non alla portineria», spiega Giancarlo Chiarei. Per il responsabile Slai Cobas, in sostanza, quando il dipendente indossa gli abiti da lavoro, esegue una disposizione aziendale. Quindi, il tempo necessario a svolgere l’operazione preliminare, indispensabile per svolgere la propria mansione, rientra a buon diritto nell’orario da retribuire.
«Siamo in presenza di pronunciamenti difformi», prosegue Chiarei, elencandone alcuni espressi dalla Cassazione e altri da tribunali. In certi casi, il tempo impiegato dal varco d’accesso dello stabilimento di grandi dimensioni allo spogliatoio assegnato, è lavoro effettivo e come tale va retribuito «solo se una volta passato il cancello d’ingresso, il dipendente è assoggettato al potere direttivo organizzativo del datore di lavoro senza la libertà di autodeterminazione».
Parte della dottrina giuridica, invece, è di avviso diverso e ritiene che la mancanza di controllo del datore di lavoro non impedisca di qualificare il tempo-tuta come lavoro vero e proprio.
Ma è partendo da un decreto legge del 2003, che recepiva una direttiva comunitaria relativa all’organizzazione dell’orario di lavoro, che, secondo Chiarei, è utile soffermarsi. In particolare, là dove si stabilisce che «orario di lavoro è qualsiasi periodo in cui il dipendente sia al lavoro a disposizione del datore, nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni».
«Alcune cause che abbiamo promosso, hanno ottenuto l’applicazione di questo diritto, ottenendo da 5 a 15 minuti di riduzione e in maniera retroattiva», aggiunge Chiarei, portando come esempi più conosciuti Standa e Max Mayer.
Proviamo a fare due conti. La richiesta di base, appunto, va dai 5 ai 15 minuti per turno. Se il giudice confermasse le tesi dei legali messi a disposizione dai Cobas e quantificasse il diritto in 10 minuti, moltiplicandoli in maniera forfettaria per 260 giornate lavorate in un anno, si arriva a 2.600. Poco più di 43 ore. Supponiamo che il dipendente abbia un’anzianità ventennale, eccoci a 860 ore da recuperare. Con un importo orario di dieci euro si arriva a circa 8.600 euro lordi.
Per gli anni successivi, la riscossione potrebbe essere sostituita da un aumento dei riposi.
Anche i pensionati possono tentare. Basta che al momento della domanda non siano stati superati i cinque anni dall’uscita dalla fabbrica.
Fonte: il Tirreno del 3.08.09
Autore:Valeria Parrini

martedì 21 luglio 2009

Proclamate due ore di sciopero alla lucchini

Le segreterie Fiom, Fim e Uilm e le Rsu Lucchini hanno indetto ieri mattina, subito dopo un incontro con la direzione dell’azienda, uno sciopero di due ore che si svolgerà oggi. Dalle 13 alle 15 si fermerà il reparto acciaierie e le ditte d’appalto Tecniref, Gnt e 3M. Nel secondo turno, dalle 20 alle 22, e nel terzo turno, dalle 22 alle 24, saranno in sciopero i lavoratori del resto dello stabilimento più le imprese. Domani è prevista una fermata di due ore alla fine del primo turno, dalle 12 alle 14, dello stabilimento e delle imprese d’appalto. «Solo il caso - sostengono i sindacati - ha voluto che non ci fossero feriti gravi. L’esplosione è stata provocata da un’indebita presenza d’acqua nel luogo dove venivano lavorate le scorie d’acciaio che, per cause da accertare, sono fuoriuscite dalla paiola». Ma secondo i sindacati questo incidente «dimostra carenze e inefficienze nell’organizzazione del lavoro e una mancata osservanza delle norme di sicurezza da parte dell’azienda».
Sott’accusa, dunque, «un clima di eccessiva pressione nei confronti dei lavoratori, una carenza e inefficienza dei mezzi, non più sufficienti a fare fronte all’aumento della produzione». Problemi che i sindacati dicono di avere denunciato da tempo.
In questo particolare momento, in presenza anche di riduzioni turnistiche, la produzione dell’acciaieria sarebbe infatti aumentata in vista della fermata dell’altoforno, prevista per sabato prossimo, e per far fronte alla richiesta di acciaio proveniente da altri stabilimenti del Gruppo Severstal. I sindacati ritengono importante questo aumento di produzione, tuttavia sottolineano la necessità di aprire un confronto con l’azienda sull’organizzazione del lavoro, sui ritmi produttivi, sulle necessarie pause nell’aera a caldo, sull’entità delle manutenzioni e sulla formazione del personale. Insomma vogliono evitare che la fretta provochi «ritmi intollerabili con conseguente diminuzione della sicurezza, mettendo in discussione la dignità dei lavoratori».
Per l’azienda il direttore delle relazioni esterne, Francesco Semino, si scusa prima di tutto con la popolazione «per lo spavento e i danni che possono essere stati arrecati dall’esplosione». E mentre conferma che gli impianti non hanno subito danni strutturali e la produzione non si è interrotta, sottolinea «la necessità di non abbassare la guardia sulla sicurezza, lavorando meglio con sindacati e lavoratori perché episodi del genere non si ripetano. Il fatto che non ci siano stati feriti gravi - conclude - non ci deve indurre a sottovalutare ciò che è successo».
Fonte: "Il Tirreno" del 21.07.09